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Posted - 22/04/2014 : 08:59:17
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Le Filande, di cui si hanno ancora tracce di 3 di esse (a Cantone, a San Vito e a Prato), sono state l'ossatura economica e il sostentamento di tante famiglie di Cremia.
Qui raccogliamo informazioni,note storiche, note tecniche del loro funzionamento. |
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Posted - 22/04/2014 : 09:13:06
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Il Civico Museo Setificio Monti di Abbadia Lariana fornisce informazioni importanti http://www.museoabbadia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=72&Itemid=95
ntorno al 1818 Pietro Monti, setaiolo, dai territori a sud di Milano arrivò ad Abbadia. Trasformò l’antico follo da pannilani con annessa roggia a ruota idraulica, in un filatoio per seta.
Nel 1869 ampliò l’edificio e vi aggiunse un fabbricato per l’allevamento e la filatura dei bozzoli; in più venne demolito il primo dei due torcitoi circolari al cui posto vennero impiantati i tre torcitoi rettangolari tuttora visibili, anche se molto rovinati.
Il secondo torcitoio circolare, non più in funzione dal 1934, fu acquistato dalla famiglia Abegg, quindi smontato e restaurato e poi donato al Museo Technorama di Winterthur in Svizzera nel 1965.
L'attività di torcitura continuò sino al 1934.
Dopo un lungo periodo di stasi e degrado, nel 1978 entrambi gli edifici, filanda e filatoio, vennero acquistati dal Comune di Abbadia.
Dal 1981 iniziò con alterne vicende il recupero del filatoio e il restauro dei macchinari, tra cui il grande torcitoio circolare del 1818 rimesso in funzione.
Nel 1998 si inaugura il Civico Museo Setificio Monti ed inizia la sua apertura al pubblico. Il Museo è allestito nel Complesso Monti (filatoio del 1818, filanda del 1869). La struttura consiste nei due edifici, uno adibito a filatoio-incannatoio, l'altro a filanda e attività accessorie.
La filanda, prima dei lavori di allestimento del Museo, non aveva conservato nessuna macchina, mentre il filatoio possedeva ancora i tre torcitoi rettangolari del 1869 e i resti del torcitoio circolare del 1818. Oltre ai resti, in pessimo stato di conservazione, di alcune macchine ausiliarie, erano rimaste due ruote idrauliche con la roggia.
Oggi la ruota Idraulica più grande è stata completamente restaurata e si sta provvedendo al ripristino dell'antica roggia seicentesca. |
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Posted - 22/04/2014 : 09:20:47
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Da uno studio dell'università di Pavia http://www-5.unipv.it/bachicolturainlomellina/download/Eta_Seta.pdf
1 L’ETA’ DELLA SETA Gelsibachicoltura e produzione della seta in Lomellina Dott. Laura Stanisci
Gelsi e seta, un binomio produttivo che proprio in Lombardia, a partire dal Cinquecento, rappresentò un qualificatissimo settore dell’economia che tale si mantenne nei tre secoli sucessivi, pur tra alterne fortune.
I metodi e le fasi di lavorazione, la loro evoluzione tecnica, il ruolo che l’allevamento dei bachi e l’attività serica ebbero nella vita delle campagne tra otto e novecento, le pesanti condizioni di lavoro cui era costretta una manodopera prevalentemente femminile e minorile, le aziende che videro la luce in numerose località del territorio Lomellino. Indice:
Una storia antica Lontane storie di contadini, bozzole e filande Felice Narratore
Gerolama Marini Le filande in Lomellina L'impatto sociale e culturale Le condizioni economiche I contributi più antichi Il settore serico in Lombardia L’evoluzione cronologica di lungo periodo Il progresso tecnico: gelsicoltura e bachicoltura
Una storia antica Nessuna storia di insetto è cosi’ interessante come il bombice del gelso di cui andremo a parlare, narrandone le sue vicende, la sua struttura e il suo impatto s ociale ed economico nelle popolazioni della Lombardia e, nell’interesse di questo studio, della Lomellina.
Benchè l’industria da cui ha origine il suo prezioso prodotto è ormai cosi’ gigantesca che in questi ultimi anni quasi tutti i popoli della terra vi prendono parte e la riconoscono come fonte inesauribile di benessere e agiatezza, non rende sicuramente la misura di quanto l’Industria Bacologica significasse per l a Lombardia fra 800 e 900 ancora soggetta a dominazioni. Incisione da Vermis sericus, cit, (CiVica raccolta delle stampe Achille Bertarlli, Milano) Si legge e si dice che già quattromila anni fa i cinesi, avevano un ricco guardaroba pieno di ogni sorta di capi di abbigliamento, tutto confezionato con seta pura , il ‘rigetto di uno sporco vermino’, come dicevano i soliti maldicenti. In seguito cominciò a funzionare la Via della Seta, il prodotto arrivava in occidente da paesi lontani e misteriosi, veniva pagata a peso d’oro, ma la bella Elena e Semiramide, Cleopa tra e Teodora e tutte le altre in bella compagnia, non badavano e nemmeno discutevano i prezzi, non essendo loro interesse quanto vi era nelle “borse del regno”. Poi nell’anno 552 d.c., due fraticelli di ritorno dalla Cina, si presentarono a Giustiniano, i mperatore d’Oriente, con i loro bastoni da viaggio pieni zeppi di uova del mitico baco da seta, il gioco era fatto. La diffusione dell’allevamento del vermino partì a lancia in resta, il ‘morone’ verme quas i elevato a pianta sacra. . . passò presto in Si cilia. . . e finalmente anc he la nostra Lomellina si riempì di moroni, mutando il bel nome in gelso. 3 Ma fu durante la signoria degli Sforza che in Lomellina vennero introdotte quelle nuove colture che avrebbero plasmato l'aspetto e la storia di questa ter ra: non soltanto il riso, con le sue vaste risaie e le grandi cascine a corte chiusa, ma anche il gelso, per alimentare i bachi e produrre la seta. E fu proprio Ludovico Maria Sforza detto il Moro (Vigevano, 27 luglio 1452 – Loches, 27 maggio 1508), il duc a di Milano che trasformò l'amata Vigevano in residenza principesca e importante centro economico e artistico, a incentivare la coltivazione del gelso; le storie del baco e degli Sforza sono così intimamente legate che il soprannome di Ludovico secondo alc uni storici deriverebbe proprio dal nome locale della pianta, moron (Alessandro Visconti, Storia di Milano, 1945). La seta è destinata a diventare nei secoli successivi la maggiore fonte economica della zona. Vigevano, cuore storico ed economico della Lome llina, fu per secoli un centro tessile con un ruolo di spicco all'interno del "triangolo della seta" compreso tra Milano, Venezia e Mantova. A Vigevano, forse nel castello della città, sorse inoltre quella Manifattura di Vigevano che all'inizio del Cinquec ento realizzò il celeberrimo ciclo degli Arazzi dei Mesi, detti Arazzi Trivulzio, oggi conservati nel Museo delle Arti Decorative ospitato all'interno del Castello Sforzesco di Milano. “Ego Beneditus d a Mediolani hoc opus fecit co sociis suuis in Vigli” .” Io Benedetto da Milano quest'opera ho realizzato insieme ai miei compagni in Vigevano .” Con questa firma, lasciata sull'arazzo di febbraio, l'arazziere Benedetto da Milano è entrato nella storia. Immagini tratte da - Malanima, P. (1995), “Economia prein dustriale: mille anni, dal IX al XVIII secolo”, Milano: Edizioni Bruno Mondadori inia Tessuti in lana e seta, gli Arazzi dei Mesi sono stati realizzati tra il 1504 e il 1509 circa su cartoni di Bartolomeo Guardi detto il Bramantino, di cui sono considera ti il capolavoro. I dodici arazzi illustrano le tipiche attività agricole che si svolgono in Lombardia lungo tutto l'anno, sotto gli auspici e l'influenza del simbolo astrologico corrispondente. Ma l’Arcadia riprodotta sugli Arazzi Trivu lzio è un sogno tut to cittadino dove prevale la costruzione, l'aia della cascina fortificata invece che il campo aperto, la cantina vinicola invece della vigna. 4 Nel mese di luglio i contadini battono le spighe nell’aia di una cascina turrita; in agosto i padroni di casa si a ssopiscono a un banchetto a base di meloni e vino, mentre sulla destra si preparano le botti per il vino nuovo, il tutto nel portico di un edificio aperto su una piazza rinascimentale. La vendemmia di settembre è sostituita dalla torchiatura del vino in un cantinone, e anche a dicembre il grosso pentolone per l’uccisione del maiale si trova in un edificio che prospetta su una piazza con case - torri. Il prevalere dei rit mi architettonici all'interno dell'insieme compositivo dei singoli arazzi è stato variamen te messo in relazione con influenze della pittura dell'Italia centrale (Piero della Francesca in primis), nonché con l'esempio milanese di Leonardo da Vinci nel Cenacolo per la "ferma centralità delle composizioni, per certe fisionomie e nell'adozione gene ralizzata di fondali architettonici" (Nello Forti Grazzini,Museo di Arti Applicate, Milano, Electa, 1984). Quando poi Pavia (Papia 1572 - Regno Longobardo ) Divenne capitale, proprio in questa città si svolgevano fiere annuali che richiamavano compratori e negozianti da ogni punto d’Europa per il commercio del filato greggio, dei tessuti e degli abiti per i paramenti sacri. Questa attività in terra lombarda si venne via via rafforzando ed estendendo cosi’ da incidere profondamente sull’economia agricola, e d in seguito anche sull’imprenditoria con il conseguente diffondersi nel XVIII secolo di opifici per la trattura della seta e di filatoi. In una relazione governativa del 1765 si dice che chiunque fornito di qualche capitale di denaro, si studiava per impi egarlo in gallette per farle poi filare per conto proprio. Tutto ciò ebbe riflessi sullo stato sociale a detta di Cesare Cantù, infatti l’industria della seta ruppe il cerchio di una agricoltura estremamente depressa, e portò ai magri bilanci dei contadini le prime entrate in denaro, migliorò l’alimentazione nelle campagne e rinnovò i decrepiti casolari. La campagna lombarda ebbe quindi visivamente impressi i segni dell’attività sericola, e ne resta a ncora qualche traccia come le 6 piante di gelso lasciate a confine del pezzamernto agricolo confinante con la struttura del cimitero e la stradina laterale a Olevano di Lomellina o le dieci piante di piante apprezzabili sul late di destra della statale che collega Ozzero ad Abbiategrasso, a circa 300 metri all’i nterno. V’erano i lunghi filari di gelsi capitozzati che solcavano la pianura o stavano variamente accostati per assecondare i pendii prealpini, v’erano le fabbriche edificate lungo le rive dei corsi d’acqua da cui prendevano la forza motrice per far ruota re il torcitoio. Affinata la capacità di trasformare il filo di seta in tessuti e passata questa attività da occupazione di artigiani a dimensione industriale, furono gli stabilimenti di tessitura ad imporsi, al principio del novecento. Nel periodo della gelsicoltura, in Lomellina e nel circondario di Mortara in particolare , tra l'altro si dice che “ L'allevamento è fatto fra i contadini dai proprietari stessi, che in alcuni fabbricati trovarono conveniente disporre locali appositi a bigattiere, le quali se rvono per il resto dell'annata da magazzino, da ripostiglio ed altro. Tutti i proprietari poi danno ai loro coloni una data quantità di semente, forniscono loro la foglia, ne sorvegliano l'allevamento, e poi dividono il prodotto a terzo col colono.” 5 Lontane storie di contadini, bozzoli e filande Felice Narratore Ecco a lcune pagine scritte da Felice Narratore , tratte da “La mia Mede” di Emilia Mangiarotti e Germano Casone. Da una testimonianza tramandata sembra che il primo impatto col baco da set a si ebbe quando si cantava ‘Tripoli bel sol d’amore’, quando in quasi tutte le case “as fava i Bigat”. Poi, maggio 1914, prima elementare, la Maestra piazzò in un angolo dell’aula un tavolo ar rivato da non so dove, pronunciò , in perfetto dialetto. . ., un discorsetto tutto rivolto al miracolo baco da seta. . .ed i l primo risultato fu che, verso la me ta di maggio, su quel tavolo già si dava da fare una manciata di bucherelli; era l’inizio della lezione più che pratica sull’allevamento dei bachi. In quell’au la eravamo parecchi, non meno di tre dozzine di marmocchi, oltr e la metà avevano in casa di già piazzato “ al barq di bigatt”, cosicché se prima arrivarono i bachi anche le foglie di gelso non sarebbero certo mancate. Immagine d’epoca tratta da F.Capr oni, Primi risultati di una bonifica in brughiera, Ediz. Bertieri, Milano 1938 La raccolta andò benissimo, ma del ricavat o della vendita dei bozzoli non ricord o qual fine abbia fatto, sarà finito ‘ a fin di bene’, speriamo. La maggior parte delle famigli e, sia in paese come nelle cascine, vivevano in alloggi formati da due camere, una al piano terra e l’altra di sopra, con scala interna, pertanto a su o giu doveva starci “al barq di bigatt". Quattro paletti dal pavimento al soffitto dovevano reggere, una sull’altra distanziate da 40 — 50 centimetri, tre o quattro stuoie lunghe anche tre metri e larghe circa un metro abbondante; poche le famiglie che possedevano le stuoie, le affittavano, avrebbero pagato con il raccolto. ..ll barq restava in funzione non m eno di un mese... Ai primi di maggio, più o meno, si andava a prendere la scatoletta con le uova che stavano schiudendosi, si mettevano su un foglio di carta, si tritavano con la forbice le tenere foglioline di gelso e queste larve lunghe si e no un paio di millimetri davano inizio al grande pasto....chi forniva agli allevatori le larve nasciture era il BlGATE’ che provvedeva pure a regolare la schiusa del seme, con controllo della temperatura, sia per ritardare o accelerare la nascita. Un termometro regal ato da un diffuso quotidiano torinese ai propri abbonati per l’anno 1901, porta scritto al 270 grado : nascita bachi, a dimostrare cosa fosse nell’economia generale del tempo l’allevamento del baco da seta. 6 ll Bigate dava il seme, nessuno lo pagava in cont anti, se il raccolto andava bene il suddetto si appropriava dell’ottavo, un chilo di gallette ogni otto, se andava male perdevano in due. Vediamo come si procedeva per un allevamento casalingo. . . più o meno come si fece a casa mia dal l9l9 al 1928... D opo cinque o sei giorni dalla schiusa il baco affrontava la prima muta, si riposava per un giorno, cambiava pelle, riprendeva a mangiare con nuova lena, aumentava di volume e chi andava per foglia, salendo sul gelso, poteva ancora, al ritorno, portare a c asa un modesto fagottino, sulla testa. Con la muta si procedeva ad un’accurata pulizia, via il sudiciume, carta da bachi nuova, operazione molto importante. Altri cinque, sei giorni, altra muta, la seconda, lo spazio occupato si allarga, il fagottino dive nta fagotto, la forbice si mette da parte, si da mano alla curtela, si taglierà più largo. Sei, sette giorni, terza muta, la carriola comincia essere necessaria, il fagotto diventa un fagottone, i gelsi sono stupendi, il getto con le foglie è tenero, si st acca bene, ma il cascinale dove si trovano le piante e almeno a cinque chilometri dal paese, una bella passeggiata. Immagine d’epoca tratta da F.Caproni, Primi risultati di una bonifica in brughiera, Ediz. Bertieri, Milano 1938 Arriva la quarta mu ta, la famosa, la temuta, la terribile ‘furia di Bigat’ è alle porte. Chi non ha vissuto quei giorni, cosa diventava il paese dopo la ‘quarta’, come si vivevano gli otto giorni della detta furia, è roba, oggi, da fantascienza, la realtà diventa chimera. I bachi? Mangiatori insaziabili. Un fagottone ed un grosso sacco erano la razione giornaliera giunti a casa bisognava disfarli, stendere o meglio allargare il fogliame sul pavimento della cantina per evitare una specie di auto riscaldamento, poi sfogliare e dar da mangiare a quei dannati. Oltre ai bachi v’erano in ballo altri lavori in campagna che, guarda caso, capitavano proprio durante il periodo dell’allevamento. Granoturco da rincalzare, il primo taglio dei prati che dava il prezioso fieno maggengo, co n tanto lavoro donnesco, e poi il trapianto, la monda. Soprattutto questi ultimi due, con la paga giornaliera più alta di tutto l’anno, come si poteva rinunciarvi, nemmeno una si poteva perdere, tanto più che, dopo il Carmine, un bel mese di disoccupazione era garantito. Quest’ultima fase era vissuta intensamente anche dal Bigate, visite assidue ai suoi clienti, istruzioni e consigli in merito alla temperatura - ambiente, alla pulizia della lettiera 8 La squera riceve il suo quantitativo di bozzoli per la macerazione, scarta di passaggio quelli non validi perché schiacciati od altro motivo, li butta nel fornelletto pieno di acqua bollente, vengono rammolliti per bene e q uindi, per l’energica spazzolatura, saltano fuori, si trovano i capi superficiali. A questo punto passa i bozzoli alla filera che univa diversi capi secondo la dimensione richiesta, introduceva nella filiera e avanti con ruote e carrucole sino a diventare matassa. Durante il tragitto si trovava tempo e modo per la torcigliatura, operazione necessaria per eliminare l’acqua assorbi ta in precedenza. “La tachera sempre in movimento. . .” deve riattaccare i fili in viaggio che sono parecchi, è abilissima. . ." Nel 1870 le filande di Mede occupavano complessivamente 250 filatrici ed erano attive 1809 bacinelle. Le filande erano tre : Ferrero, poi Beretta, Pallestrini poi Nava e Dessi poi Ceriana. Nel 1935 rimaneva solo la filanda Ceriana con 350 filatrici. Nel 19 21 ci fu il crollo di un muro che provocò la morte di Maria Figiorgi. Immagini tratte da - Malanima, P. (1995), “Economia preindustriale: mille anni, dal IX al XVIII secolo”, Milano: Edizioni Bruno Mondadori inia 9 Lontane storie di contadini, bo zzoli e filande Gerolama Marini Gerolama Marini, in dialetto Gerumina, è una signora con i capelli bianchi e gli occhi vispi di chi, a novan tanni, può ancora permet tersi di vivere da sola, anda re in bicicletta e raccontare, con la mimica irripetibil e di certi anziani, una vita di la voro. I suoi genitori avreb bero voluto farla diventare una sarta. Ma i sacrifici che vedeva nella sua casa l'han no spinta a una scelta diver sa. Fatto di nascosto e con il minimo dell'età il libretto di lavoro, si è pr esentata in quel lungo casermone scuro che era la filanda, ha raccol to i capelli, si è rassegnata all'odore dei bachi e ha ri mestato la "gaieta" per una buona parte della vita, Come lei, un intero territorio e centinaia di persone hanno vissuto per poco meno di mezzo secolo al l'ombra dei gelsi e al ritmo dei bachi da seta, fra la sporcizia dell'essicatoio e dei pentoloni della filanda e il candore impalpabile della seta intrecciata. La filanda, un edificio lungo circa due cento metri, di fronte alle scu ole di via Marconi, era in orìgine un bottonificio. In seguito, con Gaetano Passi e poi con Marino Montanari, si passò alla lavorazione della seta. Per quei tempi, gli anni precedenti la guerra 1915 - 18, era una fabbrica molto grande, l'unica del genere nel la nostra zona. Prima di Sannazzaro i Mon tanari avevano allestito altre filande a Domo e a Castel - nuovo, entrambe chiuse, una perché troppo piccola, l'altra perché i bachi comin ciavano a scarseggiare. Via della Stazione (oggi Via Marconi) - A sinistra: La fi/scriptnda (Archivio Foto Mario) Fu così che Sannazzaro divenne il principale punto di raccolta dei bachi in Lomellina, rastrellando una vasta produzione che interessava, chi più chi meno, tutte le famiglie della zona. Ad occuparsi dei "big at", i bachi da seta, erano soprattutto le donne e i bambini, anche se in certi periodi doveva lavorare tutta la famiglia. I fortunati avevano una stanza solo per i bigat, ma i più ritagliavano un po' di spazio in cucina o nella camera da letto per arroton dare così le entrate. I bachi diventavano per amore o per forza parte della famiglia e non ci si stupiva del fastidio di trovarseli nel letto. Alcuni producevano in proprio la semenza, cioè le uova, mentre altri la acquistavano in piccole pezze di stoffa v endute a peso da persone, per 10 così dire, specializzate che seguivano poi tutta la maturazione dei bachi. Le uova, tenute al caldo, si schiudevano in primavera liberando minuscoli bruchi. Allora cominciava il lavoro, prima lento, ma poi sempre più veloce p er star dietro alla rapida crescita dei bigat. I bruchi venivano riposti su stuoie appoggiate alle pareti. Dapprima bastava un piccolo spazio, ma i bigat venivano poi spostati altre quattro volte. La loro principale occupazione era mangiare e, di conseguen za, la principale occupazione delle famiglie era nutrirli, a base del loro unico cibo, le foglie dei "muron", dei gelsi. Queste piante erano abbastanza numerose nelle campagne; i più fortunati ne possedevano qualcuna vicino a casa o nei propri campi, ment re altri dovevano comprarne le foglie da chi ne aveva in abbondanza. Non mancavano poi i soliti ignoti che si arrangiavano, complice la notte, a procurarsi di nascosto un po' di foglie, dando così origine ad interminabili liti da cortile. Procurarsi le fog lie dei muron era un lavoro destinato soprattutto ai bambini e ai ragazzi. All'inizio si faceva un letto di foglie su cui si adagiavano i bigat e due o tre volte al giorno si davano altre foglie tagliate a pezzettini. I bigat alternavano per quattro volte momenti di voracità a momenti di letargo, finché, diventati quasi trasparenti, cominciavano a "tra la testa". Era segno che stavano per fare il bozzolo e bisognava "imboscarli". Fra una stuoia e l'altra venivano perciò sistemati rami essiccati di ginestra o di pioppo, su cui i bigat si arrampicavano. Così sistemati cominciavano ad ancorarsi ai rami producendo una bava bianca. Non si trattava ancora di seta e quello non era che una rudimentale impalcatura per costruire il bozzolo. Ma nel giro di una settima na il lavoro era terminato, il bosco veniva smontato e tutta la famiglia staccava i bigat, li ripuliva dalla prima bava e li sistemava in ceste. Erano i primi giorni di giugno e i bachi, dopo due mesi di lavoro, venivano consegnati alla filanda. Non per tu tti però arrivava il momento della raccolta e del guadagno. I bigat, infatti, potevano ammalarsi e andare a male, a causa di due differenti malattie, il "calcinen", che disidratava i bachi rendendoli duri come sassi e il "marson", che, al contrario, li fac eva marcire. Allora erano proprio dolori, un vero lutto, perché in una sola volta sfumavano il guadagno dell'estate e i soldi investiti nell'inverno. Alla fabbrica, la prima fase di lavorazione era l'essicatura per rendere più asciutta la seta e per far mo rire i bigat all'interno del bozzolo prima che, trasformatisi in farfalla, uscissero spezzando il filo. Dopo la monda del riso, le donne ritornavano alla fabbrica e cominciava il grosso del lavoro che avveniva in una lunga sala percorsa da due file di tav oli. Su di essi c'erano numerosi catini in cui l'acqua, scaldata dai tubi che percorrevano tutta la sala raggiungeva i 70, 80 gradi. Attorno a ciascun catino c'erano diverse operaie. Una, la "scuera", gettava in acqua i bruchi morti, la "galeta", mentre un a spazzola meccanica li rigirava, e un'altra donna, la "filera", doveva formare il filo. Era un compito delicato: cercava il capo del bozzolo e lo faceva attorcigliare all'aspo dove, con altri fili, formava un unico sottilissimo filo che andava a raccoglie rsi in una sola matassina. I nuovi bozzoli non dovevano mai mancare nel catino e i fili in esaurimento venivano alternati a quelli nuovi affinché il filo lavorato non avesse variazioni di spessore. Se qualcosa non andava la "filera" schiacciava un pedale, l'aspo smetteva di funzionare e il filo veniva sistemato. Una "filera" in media produceva 7 - 8 etti di seta, ma le più veloci arrivavano anche al chilo. Alla fine della giornata, dopo dieci, undici ore di lavoro, la seta veniva sottoposta a diversi contro lli. Se ne verificava il peso al metro e la resistenza. La seta per le calze era la più sottile, con un filo composto da tre o quattro bozzoli solamente, mentre altri tipi di filo erano destinati ad altri tessuti. Era un momento di grande tensione, con i p adroni nervosi e le operaie accalcate fuori dalla porta della sala controlli ad aspettare il verdetto. 11 Molte volte, erano urla, mentre altre volte la seta andava bene e le matassine, intrecciate, potevano essere imballate. Non veniva scartato quasi niente , nemmeno le ultime rimanenze in fondo ai catini che formavano un ammasso molliccio, la "falopa": gettata in una grossa vasca d'acqua, i bachi morti precipitavano sul fondo, mentre la seta, di seconda scelta, veniva riunita e venduta a peso da filare. La s eta di prima scelta invece, raccolta in casse da un quintale, veniva inviata alle seterie di Como e trasformata in pregiati tessuti. Questa è stata la vita di Sannazzaro a cavallo fra le due guerre, finché, con l'avvento di altre fabbriche, la filanda comi nciò a perdere le operaie, che preferivano lavori meno sporchi e faticosi e a non avere più l'indispensabile allevamento dei bigat perché la popolazione era assorbita da altre attività. Cominciò così un incontrastabile declino, che fece scomparire insieme una realtà contadina ed una industriale. 12 Le filande in lomellina Le operaie delle filande iniziavano il lavoro alle ore sei e smettevano alle 11, riprendevano alle 12 per finire alle 19. Alla fabbrica, la prima fase di lavorazione era l'essicatura per rendere più asciutta la seta e per far morire i bigat all'interno del bozzolo prima che, trasformatisi in farfalla, uscissero spezzando il filo. Dopo la monda del riso, le donne ritornavano alla fabbrica e cominciava il grosso del lavoro che avveniva in una lunga sala percorsa da due file di tavoli. Su di essi c'erano numerosi catini in cui l'acqua, scaldata dai tubi che percorrevano tutta la sala raggiungeva i 70, 80 gradi. Attorno a ciascun catino, c’erano diverse operaie.
Da, Mestieri da donnaLe italiane al lavorotra ‘800 e ‘900 di Angela Frulli Antioccheno Le filande rappresentavano l'unica possibile realtà occupazionale per molte donne ed in esse trovavano lavoro, di regola, bambine di 12 anni circa. Le operaie di una filanda dette filandale avevano compiti diversi ed erano, pertanto, suddivise in tre categorie: squera, filera, tachera.. Le prime erano bambine al primo lavoro, inesperte: esse avevano il compito di immergere i bozzoli in vasche piene di acqua bollente e, con l'ausilio di una piccola spazzola, trovare il filo iniziale del bozzolo, per poi darlo alle filèri. Queste dovevano inserire i numerosi fili di seta nelle filiere, sor vegliando che tutto procedesse nel migliore dei modi. Le fileri erano poi aiutate dalle tacarèni, che avevano il compito più arduo: quando i fili si rompevano durante il passaggio nelle filiere, in fretta e con mani esperte, dovevano riannodare i capi. Se il lavoro riusciva male, si applicava una sospensione che andava da due, a tre a otto giorni, a seconda della gravità del danno; era questa una punizione molto dura per le povere operaie, specialmente per quelle che erano madri ed avevano una famiglia da mantenere o da aiutare. II salario oscillava da 45 a 90 centesimi al giorno, a seconda dell'abilità e dell'anzianità delle operaie; per le aiutanti invece, era di 40 - 45 centesimi; le ragazzine con meno di 12 anni prendevano 20 centesimi e lavoravano solo una mezza giornata. Queste ultime, durante i rari controlli da parte delle autorità competenti, venivano nascoste e minacciate di licenziamento in caso di lamentela. 13 Poiché il lavoro in filanda poteva essere svolto da individui senza alcuna preparazione, i proprietari delle filande trovavano, facilmente, vista anche la disponibilità di manodopera, personale da inserire, e la sostituzione di un operaio poteva avvenire, senza problemi di sorta. Per le addette, pertanto, il pericolo di perdere il posto era re ale ed elevato, l’instabilità era una situazione sentita, che poteva comportare il venir meno di un salario già misero, ma da cui dipendeva la sussistenza di alcune famiglie. Le condizioni lavorative si caratterizzavano, oltre che per i bassi salari, per u na situazione igienica scadente e per estenuanti orari di lavoro: tutti gli operai addetti alla torcitura della seta, di qualunque età e sesso, lavoravano quasi sempre nei mesi di giugno, luglio, agosto, settembre e molti anche in ottobre, mentre le ore di lavoro variavano, a secondo dei mesi e della richiesta di seta, dalle 11 alle 14 ore e mezza al giorno. Le operaie erano costrette a lavorare in un ambiente afoso, a circa 50 gradi di temperatura. L'aria era carica di un vapore nauseabondo, che tendeva a trasformare l'ambiente in una sorta di stufa permanente; le finestre dovevano rimanere chiuse, per evitare che l'aria spostasse il filo di seta negli aspi e per mantenere un’umidità costante, necessaria a filare la seta. L'ambiente risultava, quindi, cost antemente immerso in una nebbia calda, certamente non benefica per la salute delle lavoratrici. Da una lettera al Prefetto di Vigevano del Settembre 1893 si legge che le donne della zona “si occupano esclusivamente nell'industria della trattura e filatura della seta. Da tale lavoro le famiglie operaie nostre traggono sufficiente vantaggio economico, ma purtroppo le condizioni in cui si compie, influisce ad alterare lo stato di salute delle nostre classi povere. L'eccessivo calore, l'atmosfera sempre umida, il dovere esercitare le mani sempre nell'acqua quasi bollente, l'immobilità per 12 ore, sono tutte cause che danneggiano la salute di quelle operaie e più ancora quella dei loro nati giacché molte di esse seguitano a lavorare fino a che giungono agli ulti mi giorni di gestazione. Da, Mestieri da donnaLe italiane al lavorotra ‘800 e ‘900 di Angela Frulli Antioccheno Da una relazione presentata all’Esposizione Internazionale Operaia di Milano nel 1894, si legge di una indagine svolta da parte della Camera del Lavoro della città sulle condizioni igienico sanitarie delle filande. In essa venne evidenziato come l’ambiente malsano ed il genere di lavoro, l’assenza di precauzioni igienich e, i contatti tra individui ammalati ai primi stadi ed individui con organismi debilitati ed esauriti per cattiva alimentazione, favorivano il contagio e la diffusione di malattie quali la tubercolosi. Lo sfruttamento di 14 questa mano d'opera era, inoltre, f acilitato dalla scarsa organizzazione sindacale a tutela del lavoro femminile. Tali difficili condizioni lavorative, nel corso della seconda metà dell'Ottocento hanno spesso condotto le operaie a proteste e rivolte, non di rado al seguito dell'esteso malc ontento contadino, indotto dalla progressiva recessione agricola. Sebbene la filanda sia stata un luogo di pena e fatica, a posteriori è tuttavia possibile ravvisarne un carattere positivo conseguenza della nuova condizione operaia della donna. Il salario, per quanto misero, consentì infatti un certo grado di emancipazione e indipendenza. Alla fine della giornata, dopo dieci, undici ore di lavoro, la seta veniva sottoposta a diversi controlli. Se ne verificava il peso al metro e la resistenza. La seta per le calze era la più sottile, con un filo composto da tre o quattro bozzoli solamente, mentre altri tipi di filo erano destinati ad altri tessuti. Era un momento di grande tensione, con i padroni nervosi e le operaie accalcate fuori dalla porta della sala c ontrolli ad aspettare il verdetto. Molte volte, erano urla, mentre altre volte la seta andava bene e le matassine, intrecciate, potevano essere imballate. Non veniva scartato quasi niente, nemmeno le ultime rimanenze in fondo ai catini che formavano un am masso molliccio, la "falopa": gettata in una grossa vasca d'acqua, i bachi morti precipitavano sul fondo, mentre la seta, di seconda scelta, veniva riunita e venduta a peso da filare. Le filandiere accompagnavano le differenti fasi lavorative col canto, un comportamento senza dubbio efficace per garantire rendimenti maggiori. Oltre a rappresentare un importante strumento di socializzazione, il canto era di indispensabile conforto e sollievo all'estenuante fatica e monotonia lavorativa. Di seguito si riport a il testo della canzone premiata al primo Concorso per la Canzone Popolare Lombarda (1891) Immagine tratta da Mondo popolare in Lombardia, Como e il suo territorio , Silvana Editoriale d'arte, . 15 Se l’allevamento del baco andava bene, i giorni della racc olta erano di letizia per tutti: giovani e vecchi. La festa dei bozzoli; cadeva la seconda domenica di luglio. La gente conveniva in quel giorno per fare un po’ di baldoria. Era una festa di allegria generale, schietta e sincera. Il giorno seguente era il giorno degli affari, dei contratti, delle compere e vendite, delle affittanze. Dopo la grande guerra l’allevamento del baco andò diminuendo e cessò completamente verso il 1930 con l’avvento della seta artificiale. Questa importante industria, che per tanto tempo diede il sostentamento e in parte il benessere ai nostri paesi, è già dimenticata dalle nuove generazioni. I nostri nipoti, che non sentono più parlare del baco da seta, non sanno che cosa siano state le filande, le “squera”, le “filera”, le “tac hera”; e i ricordi delle nostre nonne canterine, che all’alba entravano nelle filande a lavorare tutto era il giorno, stanno per svanire per sempre. Cominciò così un incontrastabile declino, che fece scomparire insieme una realtà contadina ed una industria le. Immagini tratte da - Malanima, P. (1995), “Economia preindustriale: mille anni, dal IX al XVIII secolo”, Milano: Edizioni Bruno Mondadori inia 16 L’impatto sociale e culturale L’allevamento é fatto dai proprietari stessi, che in alcuni fabb ricati trovano conveniente disporre locali appositi a bigattiere, le quali servono per il resto dell’annata da magazzino, o da ripostiglio ed altro. Tutti i proprietari poi danno ai loro coloni una data quantità di semente, forniscono loro la foglia, ne so rvegliano l’allevamento, e poi dividono il prodotto col colono. Immagine d’epoca tratta da F.Caproni, Primi risultati di una bonifica in brughiera, Ediz. Bertieri, Milano 1938 La necessità di camere ben areate ed ampie per l’al levamento dei bachi, h a fatto sì che, in non poche località si migliorarono le abitazioni, con un grosso vantaggio sia per il colono sia per i filugelli. Ma dove il colono è condannato a vivere in fetide stamberghe, il baco fallisce quasi totalmente. Le sole relazioni economic he esistenti tra il proprietario ed il colono, sono quelle stabilite dal contratto del salariato. Si può calcolare la famiglia colonica Lomellina composta in media di quattro individui: marito, moglie e due figli, uno dei quali già addetto ai lavori di cam pagna come sorvegliante del bestiame. Mentre il contadino lavora nei campi "la moglie”, quando essa pure non è occupata nelle bisogne della campagna, attende alla casa ed appresta lo scarso vitto per la famiglia. La sola industria casalinga in uso fra noi, se industria può dirsi, è quella di battere, preparare e filare il lino, che poi vien dato al tessitore per farne biancheria. E come pure l'allevamento e la cura dei bachi fino alla formazione del bozzolo. L'allevamento dei bachi, con la raccolta delle f oglie del gelso, l’apprestamento del lino, l'incalzamento della meliga e dei fagiuoli, la battitura e la cura della meliga sull'aia, sono le operazioni cui è dedicata specialmente la donna. Ma qui’ si ferma il lavoro dei coloni, ed i bozzoli sono venduti d allo stesso proprietario, che accredita del ricavato i suoi dipendenti, dai documenti ritrovati si evince che la quotazione del prodotto era addirittura giornaliera, esisteva una vera e propria “Borsa” che al pari di quella di Wall - street dettava i prezzi. Esercitando alcuni contadini la piccola industria casalinga della tessitura del lino, si contano in tutto il circondario 204 piccoli telai. Riguardo all'allevamento del baco da seta, si dice che le piccole partite di seme affidate ai coloni (le quali de l resto sono numerosissime), allevate nel modo più assurdo in 17 luridi casolari ove predomina un'afa morbosa e letale, sono quelle che danno il peggior risultato. Addetti al lavoro dei campi, i contadini non conoscono altra industria casalinga propriamente detta, se si eccettua quella della preparazione del filo di lino della quale si occupano le donne nella stagione avanzata d'autunno e nella iemale. Preparato il filo, vien portato a qualche telaio che trovasi nei maggiori centri di popolazione, dal quale p oi si riporta la tela che serve in parte agli usi domestici, e in parte la si vende sul più vicino mercato o per lo più la si cambia con un'altra mercanzia o con indumenti personali. Ma questo fu anche il momento in cui il culmine era stato raggiunto e per ragioni contingenti, sociali, economiche e politiche, doveva iniziare l’inarrestabile declino della bachicoltura, un declino che ebbe fasi alterne, con periodi di ripresa, ma che sarebbe divenuto pressoché definitivo a partire dal secondo dopoguerra. Tutt avia, se l’arte del filugello si avviava al tramonto, ben diverso fu il destino della lavorazione della seta, regina fra tutti i tessuti e affascinante ispiratrice di ogni moda nel vestire, e che detiene tuttora un posto preminente in Lombardia. Vigevano m antenne quindi il suo primato nel tessile solo fino alla fine dell'Ottocento, quando la produzione manifatturiera si spostò verso la calzatura trasformando la città nella capitale mondiale delle scarpe. Oggi Vigevano è più nota per la densità di aziende me ccaniche specializzate nella costruzione di macchine e stampi per calzaturifici ad alta tecnologia, esportati in tutto il mondo. Un'eco del glorioso passato della Lomellina nel settore tessile è rappresentato oggi dal Sartirana Textile Show, la fiera che s i tiene a fine estate nel castello di Sartirana Lomellina e che attira collezionisti, mercanti o semplici appassionati per ammirare splendidi tappeti e tessuti antichi. Cosi’, se il corso perentorio degli eventi umani e organizzativi ha rimosso dalla nost ra attenzione l’allevamento del bombice del gelso, resta tuttavia quanto mai viva l’utilità di guardare indietro e di riscoprire dai depositi della memoria un patrimonio suggestivo di cultura e di scienza, retaggio di un’epoca intera, preziosa e ineludibi le testimonianza del sapere. Alla ricerca bacologica va anche un altro merito, quello di avere sempre realizzato uno stretto legame tra studi di base e scienza applicata e di essere stata capace di estendersi dalla speculazione pura alla pratica. Immagine d’epoca tratta da “Museo etnografico dell’alta Brianza 18 Le condizioni economiche Nelle filande se il lavoro riusciva male , si applicava una sospensione che andava da due, a tre a otto giorni, a seconda della gravità del danno; era questa una punizione molto dura per le povere operaie, specialmente per quelle che erano madri ed avevano una famiglia da mantenere o da aiutare. Tratta da http://www.schioindustrialheritage.it II salario oscillava da 45 a 90 centesimi al giorno, a seconda dell'abilità e dell'anzianità delle operaie; per le aiutanti invece, era di 40 - 45 centesimi; le ragazzine con meno di 12 anni prendevano 20 centesimi e lavoravano solo una mezza giornata. Queste ultime, durante i rari controlli da parte delle autorità competenti, venivano nascoste e minacciate di licenziamento in caso di lamentela..Poic hé il lavoro in filanda poteva essere svolto da individui senza alcuna preparazione, i proprietari delle filande trovavano, facilmente, vista anche la disponibilità di manodopera, personale da inserire, e la sostituzione di un operaio poteva avvenire, senz a problemi di sorta. Per le addette, pertanto, il pericolo di perdere il posto era reale ed elevato, l’instabilità era una situazione sentita, che poteva comportare il venir meno di un salario già misero, ma da cui dipendeva la sussistenza di alcune famigl ie. Le condizioni lavorative si caratterizzavano, oltre che per i bassi salari, per una situazione igienica scadente e per estenuanti orari di lavoro: tutti gli operai addetti alla torcitura della seta, di qualunque età e sesso, lavoravano quasi sempre ne i mesi di giugno, luglio, agosto, settembre e molti anche in ottobre, mentre le ore di lavoro variavano, a secondo dei mesi e della richiesta di seta, dalle 11 alle 14 ore e mezza al giorno. Le operaie erano costrette a lavorare in un ambiente afoso, a ci rca 50 gradi di temperatura. L'aria era carica di un vapore nauseabondo, che tendeva a trasformare l'ambiente in una sorta di stufa permanente; le finestre dovevano rimanere chiuse, per evitare che l'aria spostasse il filo di seta negli aspi e per mantener e un’umidità costante, necessaria a filare la seta. L'ambiente risultava, quindi, costantemente immerso in una nebbia calda, certamente non benefica per la salute delle lavoratrici. Da documentazione ritrovata si evince che vi furono, attorno alla prima de cade del 1800, tentativi di far valere alcuni diritti basilari da un gruppo di donne delle filande di Lomellina con un drastico 19 sciopero protrattosi fino all’intervento regio. Le donne e le bambine, sottoposte a ritmi di lavoro assai veloci e nel contempo impegnate in uno nuovo metodo di filatura - a tre fili - sommarono tanti errori da vedersi punite con multe tali da impedire un guadagno reale. I tentativi di mediazione andarono a vuoto fino all’invito scritto da parte del Podestà diretto a coloro che erano a dibiti ad infliggere le multe. L’invito recita:” si rende necessario distinguere fra gli errori dovuti al ritmo veloce imposto e alla difficoltà data dalla non conoscenza del nuovo metodo di filatura dagli errori dovuti a negligenza”. Le donne della zona “ si occupano quindi,esclusivamente nell'industria della trattura e filatura della seta. Da tale lavoro le famiglie operaie nostre traggono sufficiente vantaggio economico, ma purtroppo le condizioni in cui si compie, influisce ad alterare lo stato di salute delle nostre classi povere. L'eccessivo calore, l'atmosfera sempre umida, il dovere esercitare le mani sempre nell'acqua quasi bollente, l'immobilità per 12 ore, sono tutte cause, onde abbiasi a danneggiare la salute di quelle operaie e più ancora quella dei loro nati giacché molte di esse seguitano a lavorare fino a che giungono agli ultimi giorni di gestazione. Il seguente quadro indica quali siano i principali stabilimenti filandieri in Lomellina intorno al 1960, e la loro relativa importanza, si trat ta comunque di filande che utilizzavano come forza motrice il vapore: Ditte Località uomini donne fanciulli Baselli Giovanni Garlasco - 14 13 Bealchi Angelo Sanazzaro 1 8 7 Bonacossa Luigi Dorno 1 54 26 Bonacossa Pietro Vigevano 43 530 80 Bosone Lui gi Pieve del Cairo 2 50 10 Ceriana e soci Mede 5 140 14 Cervi Giuseppe Dorno 2 10 6 Colli Cantone Vigevano - 25 - Conti fratelli Cava Manara 3 40 10 Daglio Giuseppe Sanazzaro 1 16 11 Donner e Baumann Cassolnovo - 30 - Dumontel e soci Mede 6 32 10 F assi Francesco Sanazzaro 1 20 20 Laboranti Antonio Dorno 17 16 16 Molina Cesare Mortara 10 20 - Negrone e Oldani Vigevano 100 20 90 Petrone Cavadini S.Giorgio L. 100 17 68 Rigone fratelli Vigevano 305 90 250 totale 597 1132 631 Totale 2360 Quando l'allevamento dei bachi era al suo massimo, in lomellina esistevano altri 2000 fornelli tra i contadini, in seguito per via dello scarso raccolto e per la innegabile superiorità della seta ottenuta a vapore, tutte le queste piccole filande scomparir ono lentamente. 20 In seguito anche gli stabilimenti che possedevano la forza motrice a vapore, ridussero la loro attività, in particolare le filande Marelli di Mede, Toglietta, De Martini, Natale, Trecate di Vigevano, furono chiuse e Colli Cantone sempre di Vigevano ridusse il lavoro. I filatori e le filande Bonacossa, Rigoni e Negroni di Vigevano, della portata complessiva di 15.000 fusi con 222 operai diminuirono la produzione, cosi' come Baselli di Garlasco con 1000 fusi. Di seguito i dati tratti dalla r elazione della Camera di Commercio di Pavia riguardanti il salario in lire degli operai per 12 - 14 ore giornaliere. 1 84 8 47 1859 1866 1878 Uomini Facchini Max . 1,63 2 3 3 Min. 1,2 1 1,75 2 Sopraintendenti Max . 2,2 2,5 2,9 3,5 Min. 2 2,25 2,5 2,5 Donne Cernitrici Max . 0,5 0,6 0,6 0,8 Min. 0,3 0,4 0,4 0,5 Filatrici Max . 0,75 0,83 1 1,25 Min. 0,5 0,6 0,7 1 Scopiniere ed aspiere Max . 0,3 0,33 0,5 0,6 Min. 0,25 0,27 0,4 0,5 Fanciulli Mezzanti Max . 0,45 0,5 0,6 0,9 Min. 0,35 0,4 0, 5 0,75 Scambianti Max . 0,4 0,6 0,6 0,75 Min. 0,35 0,45 0,45 0,65 I contadini non avevano altre fonti di guadagno poichè il loro lavoro era necessario costantemente sia nei campi che nelle stalle. 21 I contributi piu antichi I primi reperti bibliografici relativi a scritti di Autori lombardi sul filugello appaiono sul finire del 1700. Si tratta di lavori dovuti all’impegno di eclettici studios i di cose naturali, di proprieta ri terrieri dediti alla cultura dei bachi, i quali in cominciarono ad applicare con metodo l’osservazione dei fenomeni biologici. Da, Mestieri da donnaLe italiane al lavorotra ‘800 e ‘900 di Angela Frulli Antioccheno A quest’epoca ap partiene anche Vincenzo Dandolo, non certo lomb ardo d’ origine (era infatti patrizio veneto), il quale però visse a lungo e mori’ nel 1819 in Varese dove aveva stilato il suo famoso trattato (1815), primo fondamento della bachicoltura nazionale, richiamando l’influenza della bachicoltura sull’aumento annuo di ricchezza sia domestica che nazionale. Fra gli autori emergenti vi fù anche il Pavese Angelo Maestri, medico, preparatore e conservatore per un trentennio presso i gabinetti di storia naturale ed anatom ia comparata dell’Università di Pavia, che avendo studiato a lungol’anatomia, la fisiologia, l’embriologia e la patologia del baco, ne allesti’ numerosi preparati a secco e in cera e redasse un’atlante descrittivo preciso, ottimamente illustrato (1856). St ava però per aprirsi per il pensiero scientifico una nuova stagione, nella quale alla ricerca biologica si veniva ad imprimere un’accelerazione verso un nuovo corso, impostato sulla sperimentazione e sulla razionalizzazione dei metodi di indagine. Fra i va ri soggetti che andavano prospettandosi alla scienza ci fu anche il baco da seta attraverso cui, ad opera del lombardo Agostino Bassi, vennero gettate le basi di una delle più sensazionali e fondamentali scoperte nel campo della patologia generale: La teor ia sulla natura dei contagi e la profilassi delle malattie infettive 22 Il settore serico in Lombardia Nel corso del XVIII secolo si affermò, nel mercato serico, una divisione tra paesi produttori della materia prima o di semilavorati e paesi produt tori di manufatti. Per quanto riguarda la localizzazione dei primi, esistevano veri e propri monopoli naturali giustificati da particolari condizioni geografiche e climatiche che favorirono in modo considerevole lo sviluppo dell'attività agricola collegata a quella industriale: oltre alla Francia meridionale, nell'Italia settentrionale si distinsero, per la loro influenza nel settore, le aree di Milano e Como. Da, Mestieri da donnaLe italiane al lavorotra ‘800 e ‘900 di Angela Frulli Antioccheno L'osservatore Jacini, intorno alla metà del XIX secolo, si rese conto dell'importanza rivestita dalle zone di collina e di alta pianura lombarde e di come queste rappresentassero la regione ma nifatturiera per eccellenza. In effetti, tra la seconda metà del Settecento e la prima metà dell'Ottocento, la Lombardia si trasformò, in quanto la crescita del settore agricolo avvantaggiò lo sviluppo industriale della regione, sostenuto anche da una fort e domanda proveniente dai maggiori centri europei, Vienna in particolare. In riferimento ai progressi che si ebbero nel settore agricolo, Vincenzo Dandolo con varie pubblicazioni dei primi anni dell'Ottocento, rivestì un'importanza decisiva nell'apertura d i nuove vie all'agricoltura; con le sue indicazioni, egli contribuì ad espandere e a perfezionare la gelsibachicoltura e a rendere molto produttive anche le zone più asciutte della regione lombarda. Dopo aver raccolto osservazioni scientifiche in merito al le innovazioni compiute in questo campo, le diffuse e fondò una vera e propria scuola per bachicoltori, sperimentando l'allevamento industriale dei bachi al posto di quello tradizionalmente svolto nelle singole abitazioni dei lavoranti. Fu proprio l'intens ificazione della coltivazione del gelso a permettere l'aumento delle entrate di denaro dei contadini ed il conseguente miglioramento del loro generale tenore di vita. Grazie alle idee del Dandolo e all'investimento di ingenti capitali per l'acquisto di fab bricati e di impianti, i proprietari lombardi riuscirono ad aumentare il valore dei propri terreni poveri ed asciutti, assicurandosi una produzione di grande quantità e di relativamente buona qualità. In aggiunta, l'abbondante manodopera a basso costo (si sostituì la manodopera maschile con quella femminile) permise alla Lombardia di caratterizzarsi per una particolare intensità degli scambi, che la condusse ad assumere una posizione guida tra i paesi produttori di seta. 23 Nel mercato lombardo esisteva sia un commercio di filati che uno di bozzoli, materia prima dell'industria serica di cui la regione rappresentava la maggiore produttrice. I prezzi dei bozzoli potevano, all'interno dello stesso territorio lombardo, variare di molto; su di essi influivano i cos ti di trasporto e la qualità dei prodotti, ma l'esito della contrattazione dipendeva soprattutto dalla condizione sociale ed economica dei singoli compratori e venditori e di conseguenza dal loro potere contrattuale, dalla loro astuzia e furbizia commercia le. Le contrattazioni si svolgevano solitamente in segreto nelle case, senza garanzie e controlli pubblici, senza informazioni aggiornate sui prezzi e risultavano dunque ad alta discrezione dei diretti interessati. Ciascuna entrava isolatamente nella stanz a del padrone e se si sentivano urla o pianti si capiva che non aveva ricevuto “un buon trattamento “per le sue rocchette, se tutto taceva si poteva capire che il pagamento era buono. Le sete costituivano l'oggetto principale degli scambi nelle fiere che s i tenevano nel mese di agosto a Bergamo a Brescia e aPavia, anche se probabilmente ciò che veniva scambiato non riusciva a rappresentare nemmeno il 10% delle sete commercializzate nel corso dell'anno all'interno della regione. Come dimostrano alcuni storic i contemporanei, nelle fiere lombarde si definivano i prezzi e gli equilibri che avrebbero orientato le contrattazioni del settore serico nel corso dell'anno successivo; nello stesso tempo questi punti d'incontro rappresentavano un vero centro di raccolta di sete provenienti anche dalle zone confinanti del Tirolo, del Canton Ticino, dei Ducati e di parte del Veneto e destinate all'esportazione. Come evidenziato da un osservatore dell'epoca, significativa fu la piazza di Milano, fulcro dell'industria serica e punto di riferimento per il commercio della seta stessa: "Alla piazza di Milano la seta di prima vendita passa a varie classi di compratori, i quali sono: gli speculatori, che comprano per rivendere, i commissionari che comprano per conto de' venditori, cioè ricevono la merce a prezzo determinato in pegno de' capitali che loro hanno somministrati, ed infine i nostri fabbricatori, che comperano per alimentare le loro manifatture. Tutte queste contrattazioni si fanno sempre per intervento degli indispensabi li sensali, i quali talvolta sopra una stessa partita percepiscono più volte la mediazione" (G. Merlini, Il passato e l’avvenire dell’industria manifatturiera in Lombardia , Milano, Sancito, 1857, p. 52). Milano era dunque già considerata all'epoca il centr o dell'industria dell'Alta Italia, ed in particolare l’area di Sesto S. Giovanni può essere considerata uno dei tipici paesi in cui nacquero i primi insediamenti industriali della seta, favoriti dalla locale coltivazione del gelso e dall'allevamento del ba co da seta. Nel 1840, G. B. Puricelli Guerra costituì a Sesto una filanda, approfittando di una condizione favorevole derivante dalla combinazione di vari elementi, primo fra tutti una strategica posizione geografica: oltre alla vicinanza con Milano, defin ita il centro del mercato di approvvigionamento, del mercato di consumo e sede di manodopera specializzata, Sesto era inoltre inserita nella linea Milano - Chiasso, diretta ai mercati svizzeri e del centro Europa. L'importanza del settore serico risultò evid ente in una rilevazione del 1890, in cui su 12 opifici che impiegavano in totale circa 700 addetti, la metà era dedicata all'attività serica. 24 L’evoluzione cronologica di lungo periodo Alla fine del XVII secolo, la produzione della seta era sviluppat a solamente in alcune zone del continente europeo ed asiatico. In Europa l’area trainante era l’Italia settentrionale, seguita dalla Francia meridionale, dalla Spagna e dalla regione dei Balcani, mentre nel continente asiatico la produzione si concentrava attorno a Shangai e a Canton in Cina, nell’isola di Honshu in Giappone ed in alcune zone dell’India, della Persia e del Turkestan. Questo scenario era destinato a rimanere stabile per oltre due secoli, tanto che, ancora nel XIX secolo, le due grandi aree g uida, sostanzialmente autonome ed autosufficienti, rimanevano l’Europa e l’Estremo Oriente. Immagine tratta dal sito del Museo della Cultura Rurale Prealpina - Via Trieste 24 - 21030 Brinzio (VA) Per quanto riguarda l’Europa, è da evidenziare come al l’interno del continente fosse avvenuta, a partire dal XVIII secolo una netta separazione geografica tra le fasi di produzione e di lavorazione della seta: le prime erano localizzate nel bacino del Mediterraneo, mentre la lavorazione veniva effettuata prin cipalmente nei paesi dell’Europa settentrionale. Le ragioni di tale separazione sono da ricercarsi in fattori prevalentemente climatici; la coltivazione del gelso e l’allevamento del baco sarebbero stati possibili anche nell’Europa settentrionale, ma l’ele vato costo per il riscaldamento degli ambienti dove 25 allevare i bachi ed il rischio di perdita della foglia avrebbero reso l’attività poco competitiva. Analizzando in particolare il caso dell’Italia nella prima metà dell’Ottocento, la produzione serica, com e già esposto, era concentrata soprattutto al Nord, specialmente in Piemonte e in Lombardia. In queste aree, privilegiate dal punto di vista climatico, si era andata formando una tradizione, risalente almeno al XVI secolo, di coltivazione dei gelsi, di all evamento dei bachi e di trasformazione dei bozzoli in filo di seta pronto per la tessitura. Le tecniche utilizzate in queste prime operazioni del ciclo serico erano all’avanguardia rispetto al resto dell’Europa. Nei primi decenni successivi alla Restaurazi one la domanda di prodotti tessili, tra cui cotone, lana ma anche seta, aumentò notevolmente; ciò fu dovuto all’incremento dei consumi sia nell’Europa occidentale che nell’America del Nord e comportò un aggiornamento delle tecniche di lavorazione. Intorno agli anni ’50, in Piemonte e in Lombardia erano attivi circa 700 - 800 stabilimenti di torcitura della seta, in gran parte azionati ad acqua e i lavoratori addetti alle fasi di trattura e torcitura erano circa 150 mila. Si trattava per lo più di manodopera r urale impiegata stagionalmente in piccoli laboratori dislocati nelle campagne. Da, Mestieri da donnaLe italiane al lavorotra ‘800 e ‘900 di Angela Frulli Antioccheno Alcuni autori sostengono che fu proprio in questi opifici che nacque la prima educazione al lavoro industriale e che proprio il commercio della seta comportò il primo interessamento ad un’attività non soltanto agricola da parte di capitalisti e commercianti - banchieri e l’afflusso di imprenditori svizzeri e tedeschi. Il settore serico contribuì a formare “economie esterne”, ossia permise di sviluppare altre produzioni industriali ad esso in qualche modo connesse ed è in tal senso che può essere considerato come traente pe r l’economia italiana dell’Ottocento. La fase finale di lavorazione del prodotto serico, la tessitura, ha sempre rivestito, rispetto alla trattura e alla torcitura, un ruolo di minore importanza. Questo perché l’economia italiana non era in grado di soddis fare il mercato dei consumatori finali, controllato dall’industria straniera, e preferiva evitare battaglie competitive limitandosi a sfruttare il suo oligopolio naturale favorevole alle fasi che portavano dalla gelsibachicoltura alla produzione del filo d i seta. Difficile fu comunque anche lo sviluppo della lavorazione intermedia della torcitura, cioè della fase che forniva il filato vero e proprio. Fino ai primi anni dell’Ottocento essa rimase limitata al Piemonte dove vigeva una politica mercantilistica che proibiva l’esportazione della seta greggia, ma che non era talmente forte da estendersi anche all’esportazione dei filati da tessere. 26 Un brusco arresto della produzione serica avvenne in Italia, e più in generale in Europa, verso la metà dell’Ottocento , a causa della comparsa della pebrina, una malattia di eccezionale gravità, incurabile, contagiosa ed ereditaria che colpiva i bachi. La pebrina sembra aver addirittura minacciato la scomparsa dell’intera sericoltura europea, dato che gli animali infetti, anche se riuscivano a sopravvivere e a deporre seme, generavano bachi destinati sicuramente a morire. Considerando che le tecniche del tempo non permettevano di capire se il seme era contagiato, unica soluzione per ridurre il manifestarsi della malattia e ra importare seme da zone non colpite dalla pebrina. Ciò non era comunque garanzia di successo, dato che questo avrebbe potuto infettarsi durante l’allevamento. Fu così che si instaurò, a partire dal 1860, un fitto commercio di seme - bachi proveniente dal G iappone, che contribuì a mutare radicalmente alcuni aspetti relativi alla gelsibachicoltura. Importare seme significò certamente innalzare i costi di produzione, nonché aumentare il grado di rischio caratterizzante il settore dovuto alla possibilità di un esito infelice dell’allevamento. Si ebbe di conseguenza una contrazione dell’offerta europea di seta, che permise alle esportazioni asiatiche di conquistare ampi spazi di mercato. Questa opportunità fu sfruttata in particolar modo dal Giappone, che solo da poco si era aperto all’Occidente, poiché la produzione cinese risentiva della rivolta interna dei Tai’ping. A causa della crisi pebrinica, nel settore serico avvenne anche un’altra piccola rivoluzione: l’Italia spostò la sua attenzione dalle fasi iniziali di lavorazione dei bachi alla fase finale della filatura, cioè la torcitura. Ciò è testimoniato dal fatto che la quota di seta completamente filata sulle esportazioni totali di questo prodotto aumentò dal 17% all’80% nel periodo tra il 1855 ed il 1865. L’ incremento della filatura, che si concentrò principalmente in Lombardia, comportò forti mutamenti nell’atteggiamento degli imprenditori, quali una maggiore propensione all’adozione di innovazioni tecnologiche e una maggiore attenzione alla qualità dei prod otti. Incisione da Vermis sericus, cit, (CiVica raccolta delle stampe Achille Bertarlli, Milano) La produzione europea - in sostanza italiana - ritornò sui livelli precedenti la crisi attorno al 1870. L’industria tessile italiana, nei suoi ram i fondamentali della seta e del cotone, raggiunse tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento la piena maturità; essa concorreva a formare il 40% circa delle esportazioni complessive nonché il 60% di quelle non alimentari. Forniva occupazione a ci rca un terzo degli operai rilevati dal censimento del 1911 e, secondo le stime ISTAT, nel 1913 il valore aggiunto di questo settore rappresentava il 20% del totale prodotto dall’industria manifatturiera. 27 Nello stesso periodo è da evidenziare anche un progr essivo sviluppo della tessitura industriale: secondo alcuni dati riportati da Cafagna, “nel 1876 vi erano nel comparto seta solo 250 telai meccanici e 12 mila a mano; nel 1890 le proporzioni erano 2 mila e 500 e 12 mila e ancora nel 1898 i telai meccanici erano 3 mila contro i 12 mila a mano. Nel 1912 troviamo rovesciato questo rapporto: 15 mila telai meccanici contro 5 mila a mano.” Questo cambiamento è senza dubbio il risultato di ingenti investimenti: la produzione con i telai a mano non era certamente c apital intensive , poiché tale macchina costava appena 200 lire ed era capace di un prodotto sulle 3 mila lire annue. Un telaio meccanico costava invece mediamente 6 mila lire e produceva fra le 8 e le 9 mila lire di tessuto. Fra il 1898 ed il 1912 si stima dunque un investimento complessivo pari a 72 milioni di lire dell’epoca. La produzione ed il commercio di seta aumentarono, dal 1870 in poi, non solo a livello europeo, ma anche su scala mondiale. Ciò fu dovuto alla crescente domanda della tessitura europ ea e nel contempo anche di quella americana. Il mercato internazionale era caratterizzato da un elevato rapporto commercio/produzione, poiché grandi produttori quali l’Italia, il Giappone e forse la Cina esportavano una larga quota di ciò che producevano: l’Italia esportò, negli anni dal 1870 al 1920, oltre l’80% della produzione, mentre il Giappone fra metà e tre quarti. Nel 1913, il valore complessivo dell’interscambio (201 milioni di dollari) collocava la seta al diciassettesimo posto nell’elenco delle c ommodities e la sua quota sul commercio mondiale oscillava attorno all’1,5% del totale. Per avere un’idea di quali erano i settori che la precedevano, riportiamo la seguente tabella : Prodotto Valore complessivo dell’interscambio #10345;#28192;#28009;#27753;#28526;#26912;#25705;#8192; #25711;#27648;#27745;#29184;#26921; #17152;#28532;#28526;#25856; #14641;#14336; #18290;#24832;#28271; #14389;#13312; #17152;#24832;#29282;#28526;#25856; #13877;#13824; #19456;#25856;#26368;#28271; #13619;#13568; #19456;#24832;#28160;#24832; #13618;#13568; #20480;#25856;#27756;#26880; #13369;#14592; #23040;#30051;#25344;#26725;#29295; #13366;#12544; #17920;#29301;#29812;#24832; #13364;#14592; #21248;#25856;#28009;#8303;#27749;#28531;#26880; #13111;#13568; #17152;#24832;#29294;#25856; #13109;#14592; #17152;#24832;#26214;#59392; #13107;#13824; #20992;#24832;#28005; #13104;#13312; #20480;#25856;#29810;#28524;#26991; (#36001;)#12544; #20992;#26995;#28416; (#29305;)#12288; #22121;#28271; (#26377;)#13824; #18287;#28013;#24832; (#26666;)#12288; #21248;#25856;#29793; (#26085;)#12544; Fonte: G. Federico, 1994, p.12 Fino agli in izi del XX secolo, gli equilibri mondiali sono rimasti pressoché invariati, mentre in seguito la situazione si è andata modificando con un progressivo aumento delle quote di mercato controllate dall’industria nipponica. 28 Malgrado un temporaneo arresto causa to dalla Prima Guerra Mondiale, alla vigilia della Grande crisi il commercio mondiale della seta raggiunse il suo massimo storico e due terzi di esso proveniva proprio dal Giappone. La crisi irrimediabile e definitiva del settore serico avvenne attorno all a metà del XX secolo: la Grande crisi del 1929 ed il secondo conflitto mondiale ridussero drasticamente i consumi di un bene di lusso come la seta.Nonostante un tentativo di ripresa nel dopoguerra, il settore non ha mai più raggiunto la dimensione della fi ne degli anni Venti, in seguito anche della concorrenza delle nuove fibre sintetiche quali il rayon e artificiali come il nylon. Inoltre, la mappa dei paesi produttori è stata completamente stravolta: l’Europa ha abbandonato la produzione della seta; il Gi appone, che non ha visto scomparire il setificio solo grazie a misure protezionistiche, è diventato importatore netto di materia prima; la Cina è dunque rimasta l’unica esportatrice, almeno fino a quando, in anni recenti, nuovi concorrenti come Thailandia, Corea e Brasile non si sono affacciati sul panorama mondiale. Utilizzando un’espressione di Gueneau, si può dire che il ciclo secolare si è concluso con il “ritorno alla culla della sericoltura”. Incisione da Vermis sericus, cit, (CiVica raccolta delle stampe Achille Bertarlli, Milano) Il progresso tecnico: gelsicoltura e bachicoltura 29 Il XIX secolo fu caratterizzato da importanti innovazioni riguardanti sia la gelsicoltura che la bachicoltura, tali d a permettere all'Italia un considerevole aumento dei rendimenti nel settore serico. In entrambe le attività i miglioramenti interessarono da un lato la scelta delle razze (dei gelsi e dei bozzoli) e dall'altro le pratiche di coltivazione e di allevamento. Per quanto concerne la gelsicoltura, la scelta di una specie di gelso rispetto ad un'altra poteva seguire due criteri diversi: uno privilegiava la produttività di foglia per unità di input (terra o lavoro), l'altro la resistenza alle malattie e alle condiz ioni ambientali. Immagine tratta dal sito del Museo della Cultura Rurale Prealpina - Via Trieste 24 - 21030 Brinzio (VA) Riguardo alle tecniche di coltivazione, si cercò di ridurre progressivamente la dimensione delle piante, diminuendo l'altezza de i gelsi coltivati ad albero e diffondendo due nuovi metodi di coltivazione, che permettevano risparmi di tempo nella raccolta delle foglie: la ceppaia (o cespuglio) e i gelso - prato. Il primo, che consisteva nel ridurre il fusto solo di pochi centimetri con particolari potature, era compatibile con la forma tradizionale di coltivazione. Il secondo richiedeva invece una coltura specializzata, poiché consisteva nell'abolizione totale del tronco e nella raccolta delle foglie tramite falciatura. Per quanto rigua rda la lombardia, la coltivazione a cespuglio era conosciuta già nel XVIII secolo. Sperimentazioni della tecnica del gelso - prato risalgono invece al 1820, ma risultarono ben presto inutili a causa della crisi pebrinica. Le informazioni sullo sviluppo di al tre tecniche di coltivazione sono molto limitate, ma si trattò della lenta diffusione di un susseguirsi di piccole innovazioni, quali ad esempio uno sfruttamento più intenso, potature più razionali e nuovi metodi di innesto e propagazione. Nella bachicolt ura, l'aspetto fondamentale era la scelta del seme - bachi, che doveva essere caratterizzato da un ottimo stato di salute. A tal proposito lo storico L. Li scrisse che "la chiave del successo di una industria era la sua offerta di bozzoli, e la chiave della qualità dei bozzoli era un seme esente da malattie". (G. Federico, 1994, p.125) 30 La selezione del seme - bachi avveniva in base a due parametri: il metodo di produzione e la razza. Il primo (industriale o cellulare) determinava la qualità del seme e la sua im munità da malattie, in particolare da infezioni quali la pebrina; il secondo (razza verde, gialla, bianca o incrocio) determinava le caratteristiche della bava e di conseguenza la qualità dei bozzoli. Il tentativo di ottenere un'unica razza ottimale di sem e si presentò molto complesso per la differente adattabilità al clima e per le diverse modalità di allevamento nei vari paesi. Inoltre esisteva, tra allevatori e filandieri, un potenziale conflitto di interessi, dato che i primi erano maggiormente interess ati alla resistenza alle malattie, mentre i secondi preferivano la finezza e la tenacità della bava. Negli ultimi decenni dell'Ottocento, in seguito all'introduzione e alla rapida diffusione degli incroci cinesi, prevalsero comunque gli interessi degli all evatori. Si trattava infatti di seme particolarmente immune alle malattie, ma destinato a produrre una bava meno fine e con resa leggermente inferiore. Per quanto riguarda il cambiamento delle tecniche di allevamento dei bachi si possono distinguere due di verse vie. La prima, caratterizzata da pratiche derivanti da una tradizione secolare, era volta alla riduzione al minimo delle perdite di bachi, ovvero alla massimizzazione del rendimento per unità di seme. Prevedeva una schiusa del seme graduale, che non provocasse lesioni di alcun genere, un'attenta pulizia, una particolare distribuzione dei pasti durante la giornata, il mantenimento di condizioni di temperatura costante e di ventilazione adeguata, infine la scelta del momento adatto per la raccolta. Ques te pratiche non sempre vennero applicate al meglio dato che, ad esempio, nel 1924 un osservatore italiano descrisse la realtà degli allevamenti come caratterizzata da "insufficiente selezione o cattiva conservazione del seme, condizioni sfavorevoli dei loc ali destinati all'incubazione, quantità eccessiva del seme messo in incubazione in relazione allo spazio o all'alimento disponibile, insufficienza o omissione di preventive disinfezioni dei locali destinati all'allevamento, poco adatte condizioni dei local i stessi, mancanza di cure e difetti dei metodi di allevamento, umidità che favorisce la diffusione di malattie" (Mortara, 1924, p.126). La seconda tecnica di allevamento puntava sulla riduzione dell'impiego di fattori e consisteva nell'alimentare i bachi con rami interi cui era attaccata la foglia. Questo metodo eliminava la preparazione delle foglie, il cambio delle lettiere e riduceva il numero dei pasti, diminuendo la forza lavoro normalmente necessaria nel metodo tradizionale e ottenendo così una riduz ione dei costi di manodopera. Si otteneva inoltre un elevato risparmio di foglie, nonché una riduzione del rischio di malattie, grazie ad una migliore aerazione. Questa tecnica poteva essere applicata secondo due metodi: uno, noto come "cavallone" in Itali a e "branch feeding" in Giappone, poteva essere svolto nell'allevamento tradizionale, mentre l'altro, denominato "pezzone" o "tower feeding", richiedeva spazi più ampi, veri e propri capannoni. In Italia il cavallone era sicuramente già noto in Friuli vers o la metà del XIX secolo, mentre una sua seppur contenuta diffusione nel resto del paese risale al primo dopoguerra. Bibliografia #61623; Atti dell'Inchiesta agraria Jacini (1877 - 1885), lavoro presentato come Tesi di laurea all'Università di Cagliari nell'a .a.1995 - 96.
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